
Se adeguatamente legato e trattato ad alte temperature, diventa duro e resistente come l’acciaio temperato e risulta altamente piroforico (capace di accendersi spontaneamente).
Come componente di munizioni anticarro è molto più efficace contro le corazzature del costoso tungsteno monocristallino, il suo principale concorrente.
La tipica munizione all’UI è costituita da un rivestimento (sabot), che viene perduto in volo per effetto aerodinamico, e da un “penetratore”, la parte che effettivamente penetra nella corazzatura per il solo effetto dell’alta densità unita alla grande energia cinetica dovuta all’alta velocità.
Il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell’uranio, che esplode in frammenti incandescenti (fino a 3 000 °C) quando colpisce l’aria dall’altra parte della corazzatura perforata, aumentandone l’effetto distruttivo. Le munizioni di questo tipo vengono chiamate in gergo militare API, Armor piercing incendiary ammunitions, ovvero munizioni incendiarie perforanti.
I penetratori all’UI che non colpiscono l’obiettivo possono rimanere sul suolo, essere sepolti o rimanere sommersi nell’acqua, ossidandosi e disgregandosi nel corso del tempo.
La dimensione delle particelle di uranio create, la facilità con cui esse possono essere inalate o ingerite e la loro capacità di muoversi attraverso l’aria, la terra, l’acqua o nel corpo di una persona dipendono dalla maniera in cui si è polverizzato l’UI metallico.
I test dell’esercito statunitense hanno dimostrato che quando un penetratore da 120 mm all’UI colpisce un bersaglio corazzato si liberano da 1 a 3 kg di polvere di uranio radioattiva e altamente tossica.
Un carro armato colpito da tre di queste munizioni e l’area attorno ad esso potrebbero essere contaminati da 3 a 9 kg di particolato di uranio. Inoltre, la polvere prodotta da un impatto iniziale potrebbe essere rimessa in sospensione da impatti successivi. Esplosioni di test e studi sul campo hanno mostrato che la maggior parte della polvere prodotta dagli impatti finisce per depositarsi entro un raggio di 50 metri dal bersaglio, tuttavia le particelle più fini vengono disperse in atmosfera sotto forma di aerosol su distanze di centinaia di chilometri.
L’UI è un metallo pesante radioattivo: il contatto diretto e prolungato con munizioni o corazzature all’UI può causare effetti clinici nefasti e raggiunge il suo massimo potenziale di danno quando frammenti o polveri penetrano nel corpo. La tossicità chimica dell’UI rappresenta la fonte di rischio più alta a breve termine, ma anche la sua radioattività può causare problemi clinici nel lungo periodo.
Il pericolo principale di contaminazione è l’inalazione, seguito dal contatto e dall’assorbimento mediante il ciclo alimentare o attraverso l’acqua.
Un pericolo particolare deriva dall’incorporazione di particelle di uranio impoverito attraverso le ferite, che le porta direttamente a contatto con i tessuti vitali.